venerdì 12 agosto 2011

Luce d'argento


Strada del ritorno verso casa.

Sempre che si possa chiamare casa un luogo affatto familiare in cui si è stati una volta sola e in cui non si ha nulla di proprio. Una stanza non si può considerare casa solo perchè ci protegge dalla  notte. Ma al tempo stesso ci si può sentire in un luogo estraneo anche tra le quattro pareti che ci hanno ospitato fin dalla nascita. Se ci sono diventate indifferenti, estranee. Ostili.



I passi risuonavano nella strada semideserta e nel silenzio delle parole non dette, soprattutto delle tante domande che sarebbero state rimandate al giorno successivo. Leila e Santo camminavano fianco a fianco. Con le braccia che si sfioravano appena.



La strada era in salita e stretta, ma tra i palazzi si apriva talvolta allo sguardo, come per sorprendere chi passava, mostrando uno scorcio sul porto notturno.

Le piccole luci blu del lungomare che si specchiavano tremolanti nell'acqua del mare,  così faceva la lampada del faro e più oltre il tenue bagliore delle lucciole dei pescatori. Al termine della scala che portava a casa, uno scorcio più ampio. Leila e Santo trasalirono nel vedere la luce forte e quasi metallica del mare d'argento che la luna aveva  creato.

Le mani si scontrarono, dorso contro dorso. Le dita di lui, istintivamente, cercarono la mano di lei.

La trovarono.



Santo sotto l'uscio di casa cercò in tasca le chiavi e aprì. Leilà lo seguì nelle scale, e poi in casa.

Si accorse in un attimo di essere stanca. Stanchissima. Si rannicchiò sul divano e mentre Santo cercava qualcosa che potesse pallidamente somigliare a un pigiama lei già dormiva.



Non sentì il tiepido sospiro di un bacio sulla fronte. Dormì senza sognare e senza risvegli. Finalmente dopo mesi di notti confuse, Leila riposava davvero.

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