domenica 17 luglio 2011

Incipit - A piedi nudi


A piedi nudi

Leila camminava leggera per strada. I piedi volavano leggeri come i piedi di una bimba sull'erba umida di rugiada, incuranti dei tacchi e del cemento aspro della strada. Leila sui tacchi ci sapeva camminare. Aveva imparato da ragazzina, come si conveniva a chi doveva atteggiarsi a giovane donna. Aveva imparato molte altre cose, Leila: sapeva mangiare con la schiena diritta, sapeva tenere correttamente la tazza , il bicchiere e ogni posata, sapeva mangiare con disinvoltura le aragoste e sapeva bere vini raffinati apprezzandone l'odore e il sapore. Sapeva commentare in modo appropriato spettacoli di teatro e interventi critici dei più disparati. Quante cose sapeva fare lei. Quante cose era stata educata a fare Leila.

Ma lei non sapeva davvero cosa voleva fare ora. Camminava leggera sui suoi tacchi in una strada che puzzava di piscio e di pesce. Con un abitino inadeguato al luogo. Un abitino troppo elegante e troppo costoso per quel vicolo. Panni di cui Leila si sarebbe voluta disfare per tornare a essere quella che non era mai stata. Solo se stessa.

Leila si tolse le scarpe in quel vicolo. Coi piedi che toccavano il ruvido e l'umido di quel carrugio stretto si mise a camminare con meno disinvoltura di prima. Attenta a evitare i cocci di vetro, le zone più umide, le macchie meno nobili. Ora Leila camminava circospetta e non pareva più erba fresca di rugiada a correrle sotto i piedi. Ora sentiva il cemento aspro. Adesso lo sentiva anche lei.

Con le scarpe in mano si fermò a guardarsi attorno. Era quasi il tramonto e dietro all'ennesima scaletta stretta si intravedeva il mare. Camminò fino alla strada principale, la attraversò e percorse il primo tratto di lungomare. Era una zona trafficata da gente affaccendata: chi tornava dal mare chi cercava un po' di vita serale, chi non cercava nulla, chi cercava se stesso. Come lei.

Camminare in mezzo alla gente e non sentirne gli sguardi. Essere trasparente. Ognuno occupato a fare le proprie cose e nessuno che ti osservi.

Leila trovò una discesa per il mare. La percorse: una trentina di gradini di pietra che la portarono in spiaggia.
Era una spiaggia di sassi. Pietre grosse e ghiaia. Ancora più aspri della strada, duri. I piedi le facevano davvero male ora.
Posò le scarpe sulla spiaggia e con passi indelicati arrivò goffamente all'acqua per bagnarli. Si sedette sulle pietre per non doversi appoggiare con tutto il suo peso su quei sassi aguzzi e così, coi piedi in acqua, si mise a pensare.
A casa l'avrebbero presto attesa per cena con un formale rimprovero per le intemperanze compiute. Se solo avesse chinato la testa e detto”perdono” la cosa sarebbe certamente finita lì. Nessuno le avrebbe chiesto dove era stata, con chi, cosa aveva fatto, né tantomeno il perchè. L'indomani l'avrebbero fatta ritirare dal Conservatorio cui era iscritta e sarebbe tornata alle sue lezioni private di greco e galateo, nell'attesa di divenire la moglie adeguata di un illustre partito.

Ma Leila aveva ancora le gambe tiepide. Da poco aveva sentito i suoi piedi contrarsi e diventare freddi. Mentre il sangue correva caldo e ritmico poco sotto la pancia. Leila sapeva che c'era qualcosa d'altro là fuori. E anche se la terra era dura lei ci voleva restare.

Si alzò, e raggiunse la scala nuovamente. In una bottega di abiti di seconda mano vendette le sue scarpettine Vuitton e il suo abito di boutique. Ne ebbe in cambio un abitino di jeans e un paio di vecchie ballerine nere. La sua nuova divisa. Si sciolse i capelli.
Quella notte non sarebbe tornata a casa.

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